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Se i cambiamenti climatici mettono in pericolo la produzione della birra

I beer lovers tremano: la produzione della birra “Lambic”, la tradizionale birra belga, è in serio pericolo. E non è la sola: un grosso pericolo lo corre anche la birra trappista, stando a ciò che scrive il Guardian.

Se i cambiamenti climatici mettono in pericolo la produzione della birra e non potessimo più bere la Lambic?

Parliamo di una birra dalle antichissime origini, nata nel Medioevo, e che oggi rischia l’estinzione a causa dei cambiamenti climatici. Caratterizzata dalla fermentazione naturale, prodotta nella regione del Pajottenland, patirebbe l’aumento delle temperature medie che limitano il periodo di fermentazione. L’eccessivo caldo la farebbe andare male prima del termine del periodo di fermentazione naturale, che prevede l’esposizione del mosto all’aria, consentendo  ai lieviti selvatici e ai batteri autoctoni del Payottenland di avviare la fermentazione naturale. La produzione della birra, come quella di tutti i prodotti che derivano dall’agricoltura, risente fortemente della scarsa attenzione che rivolgiamo alla salute del Pianeta. Se non interveniamo velocemente, rischiamo di pagarne presto le conseguenze.

Conosci la birra “Lambic”?

Stiamo parlando di una birra che, essendo legata indissolubilmente ad un territorio ben preciso, esprime la cultura non solo del Belgio, ma di una intera regione. É talmente vero che le birre prodotte al di fuori del Pajottenland sono denominate “plambic”, pseudo lambic. La sua scomparsa sarebbe una grave perdita culturale, oltre che economica. Le 10 aziende che la producono sarebbero messe in serie difficoltà.

I cambiamenti climatici e la produzione della birra

Il rischio del cambiamento climatico comporta l’impossibilità di portare avanti il processo di fermentazione naturale.  Se agli inizi del Novecento si poteva contare su 165 giorni di temperature ideali, oggi ne contiamo solo 140. Se non ci sarà un rallentamento nel fenomeno dell’aumento delle temperature, nel 2015 addio “Lambic”. Qualcuno suggerisce di raffreddare artificialmente il mosto. Ma gli esperti concordano nell’affermare che equivarrebbe a una perdita di qualità.

Salviamo la birra trappista

Chi non conosce la birra trappista? I monaci dell’Ordine dei Cistercensi della Stretta Osservanza, conosciuti come i Trappisti, hanno pregato, studiato e lavorato in diversi monasteri sparsi in tutto il mondo. In particolare in sei abbazie in Belgio hanno anche dato vita alla produzione di alcune delle più apprezzate birre. Le più note?  Chimay e Orval e la leggendaria Westvleteren 12. Tutti hanno sentito poi parlare dell’ l’abbazia di Notre-Dame de Saint-Rémy a Rochefort, dove si produce la Rochefort.  Non conoscete quelle tre birre scure e corpose, celebri per i loro numeri e colori: 6 (rosso), 8 (verde) e 10 (blu)?

É quest’ultima birra a correre i maggiori rischi di estinzione. I monaci di Rochefort  usano l’acqua di sorgente che scorre sotto il loro birrificio nel Belgio meridionale. Da qualche anno combattono una dura lotta con  la cava di calce – di proprietà della famiglia Lhoist-Bergman- per evitare l’ abbassamento del livello delle acque sotterranee di Rochefort, per migliorare la qualità della cava. Per i monaci un danno che potrebbe pregiudicare la qualità della birra. Recentemente è stato concesso ai Lhoist-Bergmans il permesso di testare altri siti di estrazione e pompaggio dell’acqua. Inutile dire che i proprietari della cava respingono le accuse al mittente. Noi non sappiamo chi ha ragione, ma vorremmo continuare a bere la Rochefort.

 

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Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

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