Tutti amano la pizza (l’83% della popolazione americana la mangia almeno una volta al mese!). Secondo un rapporto 2019 di PMQPizza Magazine in tutto il mondo le pizzerie crescono come funghi. L’unica eccezione l’Antartide, dove non c’è nessuna pizzeria! Tale successo ha portato all’imporsi sul mercato di diverse catene che agiscono in tutto il mondo. La concorrenza è aumentata e non tutte le pizzerie riescono a stare al passo con la domanda. Domino’s, leader delle catene di pizzerie, è riuscito a sfruttare la tecnologia, ottenendo ottimi risultati, ma alcune catene non sono riuscite a sviluppare con successo il delivery.
Tra le vittime illustri del Covid 19 ci sarebbe Pizza Hut, la famosa catena di pizza americana. La catena di pizza italiana proposta all’americana, dopo più di sessant’anni e 18mila ristoranti in cento Paesi, rischierebbe di chiudere per sempre. Stessa sorte tocca alla società affiliata a PizzaHut: la Wendy’s. Il debito di oltre un miliardo di dollari lascia poco spazio ai tentativi di rianimare un’attività in ginocchio.
La storia di Pizza Hut, un marchio globale
Pizza Hut ha aperto nel ’58 quando i due fratelli Carney, Dan e Frank, si fecero prestare dalla madre 600 dollari per aprire un piccolo negozio a Wichita, Kansas, per fare conoscere agli studenti americani la pizza. Il nome fu determinato dal fatto che l’insegna poteva contenere solo 8 lettere. Fu un successo, tanto che un anno dopo aprirono un secondo locale a Topeka, nel Kansas. Prima di aprirne un terzo, avviarono nel primo le consegne a domicilio. Il loro slogan We don’t just make pizza. We make people’s days», invase presto tutto il mondo.
Nel ’77, Pizza Hut contava 4 mila ristoranti. I fratelli vendettero la catena alla PepsiCo per più di 300 milioni di dollari. Frank fu eletto presidente fin quando lanciò una nuova catena, Papa John’s. Tutti ancora ricordano come si presentò all’assemblea degli azionisti di Pizza Hut: con una vistosa maglietta con scritto «Scusate, ragazzi, ho trovato una pizza migliore». Il gruppo poi passò a una nuova proprietà, la Yum, legata al gruppo Npc International. Iniziarono potenti campagne di marketing che videro come protagonisti Ringo Starr e la ex moglie di Donald Trump, Ivana. Non solo: furono i primi ad usare le app e a utilizzare in modo massiccio FB. Ma chi di marketing ferisce, di marketing perisce. A costare caro, troppo, a Pizza Hut è stata la sponsorizzazione ufficiale della Nfl, il campionato di football più seguito d’America.
E ora? Fallisce Pizza Hut o no?
Npc, che ha in licenza lo storico marchio americano e Wendy’s, ha presentato richiesta per il Chapter 11, la legge fallimentare statunitense che interviene in garanzia delle imprese in seguito a un grave dissesto finanziario. Npc ha poi negoziato un accordo con i creditori per la sua ristrutturazione. Si riuscirà a salvare la catena e a non trasformare un sogno americano in un incubo? É la speranza dei 40.000 lavoratori americani. Dichiarare fallita Pizza Hut è disinformazione. Più corretto registrarne la crisi e i tentativi di farvi fronte.
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