in

Covid: quando cibo e cultura sono rivendicazione identitaria

Il Covid 19 impone una seria riflessione sul legame tra cibo, cultura e costruzione o difesa della propria identità. Noi vi contribuiamo con l’insolita storia del soul food

Negli anni in cui vissi a Parigi, non avevo mai nostalgia di casa per niente di americano“, scrisse James Baldwin nel saggio No Name in the StreetMa“- aggiunse poco  dopo-  mi mancavano i miei fratelli e le mie sorelle … Ho perso Harlem domenica mattina e pollo fritto e biscotti”.

Il Soul Food è una cucina nata dalle migrazioni

Il Soul Food, la cucina afroamericana, è una cucina sconosciuta agli italiani. Quanti ne hanno sentito parlare o l’ hanno assaggiata in Europa? Pochissimi.  Solo, nel dopoguerra, a Parigi, quando tutti impazzivano per il jazz, divennero famosi alcuni ristoranti che la proponevano. Un nome su tutti: Chez Inez, il predecessore del più famoso Chez Haynes, che aprì nel 1964. La combinazione che andava per la maggiore era pollo e torta di patate. Da allora ne sono stati aperti e chiusi tanti. In origine erano la ristorazione degli afroamericani che avevano cercato fortuna in Europa per sfuggire al razzismo ed erano frequentati dagli intellettuali neri che vivevano nella capitale francese.

Parigi intrecciò la sua storia culturale e gastronomica con lo sviluppo del movimento per i diritti civili degli Stati Uniti. Oggi sembrano passati millenni: la Francia sta affrontando tensioni a causa della violenza della polizia per motivi razziali e delle difficoltà di attuare politiche di inclusione sociale ed economica. Negli ultimi anni a Parigi sembrano tornare in auge alcuni ristoranti che propongono cucina soul. I proprietari non sono più afroamericani ma chef neri francesi impegnati politicamente, spesso sostenitori del movimento Black Lives Matter, convinti che il cibo sia uno strumento per rivendicare la propria identità. Il cibo, come è sempre stato, diventa così uno strumento per rivendicare le proprie radici culturali.

Il Soul Food è la rappresentazione della Grande Migrazione, il movimento di milioni di afroamericani dal sud rurale alle città industriali del Nord-Est e del Midwest avvenuto durante la prima metà del XX secolo. Come in ogni migrazione, i migranti portarono con sè il loro cibo: poltiglia di farina di mais, verdure, tagli di carne a buon mercato, come maiali e piedi di pollo. Agli inizi questo cibo non incontrò alcun tipo di favore, anzi era rifiutato, considerato povero e addirittura malsano. Ma pian piano chi era giunto dal Sud, divenne classe media e così quel cibo non fu più considerato simbolo di povertà. Negli anni ’60, gli attivisti della battaglia sui diritti civili usarono per rivendicare la loro identità culturale una riflessione sull'”anima” e le loro rivendicazioni passarono attraverso la musica, il cibo, la letteratura, dando vita ad una controcultura diventata ben presto cool. L’indelebile legame tra ciò che siamo e che cosa mangiamo ha reso la “cucina dell’anima” un passaggio importante nel lungo cammino per la rivendicazione dell’identità nera. Non mancarono però detrattori del Soul Food. Un esempio per tutti: Elijah Muhammad, un sostenitore di Malcolm X e leader della Nazione dell’Islam, che insistette sul fatto che questo tipo di cucina era frutto della cultura distruttiva imposta dai bianchi durante la schiavitù e che i bianchi cercavano di promuoverla al fine di indebolire i neri. 

Quando cibo e cultura sono rivendicazione identitaria

Di certo lo stesso Soul Food è frutto di contaminazione. I poveri afroamericani del Sud fecero propri ingredienti di altre comunità migrate in USA in cerca di fortuna. In Francia è forte la contaminazione con la cultura gastronomica francese. É inevitabile: i piatti sono sempre esperienze e contaminazioni culturali. La cucina ti consente un viaggio stando comodamente seduto ad un tavolo. Il Soul Food ti permette così di conoscere Harlem o New Orleans senza mai esserci stato. Il potere del cibo va oltre: non è solo ricerca identitaria, memoria, ma proprio per la sua facilità alla contaminazione, costruzione di un futuro, che ci auguriamo migliore. Il Soul Food ti consente di assaporare la cultura nera, una cultura che ha penetrato diverse forme culturali grazie alla sua musica, ai suoi romanzi, al suo cibo, alla sua estetica, al suo stile di vita. Ora però sorge una domanda provocatoria: perchè in un’epoca globalizzata il Soul Food non è conosciuto fuori dagli USA? Eppure ci siamo indignati per la morte di George Floyd, l’ hip-hop  è diventato un linguaggio che affascina nello stesso modo in cui il jazz ha affascinato l’Europa negli anni ’20. Resta un mistero perchè stenti ad uscire dai confini americani. Solo a Parigi ha una certa fama, forse perchè qui è iniziata la travagliata storia del concetto filosofico dell’universalismo, secondo cui lo Stato e la società dovrebbero relazionarsi con i suoi cittadini offrendo a tutti gli stessi diritti e inclusione come individui piuttosto che come membri di comunità diverse. Un ideale che non vede ancora la sua piena realizzazione. La Francia stessa non è riuscito a realizzarlo: mentre offriva ai neri americani la possibilità di affermare la propria cultura, manteneva il suo impero coloniale.

Il cibo si trasforma in una carezza per la nostra anima solo se non diventa un’arma del marketing

Il cibo non è solo esperienza culturale ma anche un fruscio, un suono, una carezza per la nostra anima. Ha il potere di farci sentire parte di una comunità. Si trasforma spesso in quel comfort food di una tradizione culturale che resiste, che non accetta di essere cancellata. Tutto molto bello e poetico, ma esiste un rischio. Ciò a cui si deve stare attenti è che il Soul Food non si trasformi in un’operazione di marketing, cosa che può accadere in un’Europa ancora in cerca di una identità. Il Covid 19, che ha sconvolto il nostro stile di vita, ci aiuterà a considerare diversamente il nostro modo di rapportarci con cibo, la cultura e la costruzione di un’identità salda capace ad aprirci a diverse esperienze culturali?

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

GIPHY App Key not set. Please check settings

Written by Monica Viani

Vivo a Milano, frequento librerie, musei, cinema, teatri e ...ristoranti! Laureata in filosofia, ex insegnante di materie umanistiche nei licei classici e scientifici milanesi, sono approdata nel 1998 al giornalismo enogastronomico. Dopo aver coordinato diverse riviste tecniche, aver dato vita a una collana e curato diversi libri, nel 2017 ho deciso con Alessandra Cioccarelli di fondare il blog Famelici, un blog "di frontiera", dove declinare il cibo in mille modi. Io e Ale scriviamo di cibo, rimandando a Marx, a Freud, a Nietzsche, ai futuristi, perché crediamo che il cibo sia cultura. Perché lo facciamo? Per dimostrare che si può parlare di food rifuggendo dalle banalità. Stay hungry, stay foolish!

Esperienza gourmet diffusa: cerea ed azienda mazzoleni in modalità delivery

Esperienza gourmet diffusa in modalità delivery in tutta Italia: la cena aziendale di Mazzoleni

Ricette, Natale e storie di cinema

Ricette, Natale e storie di cinema: una serata diversa