Una favola, del tutto inventata, per raccontare ai bambini lo spiedo. C’era una volta, in Valdobbiadene, in un luogo sconosciuto, un bosco incantato abitato da draghi, gnomi, basilischi, fate, rospi e serpi. Vi regnava un ordine alla rovescia, quello che noi chiameremmo caos. C’erano le leggi, ma si doveva contravvenirle; c’era il matrimonio, ma si doveva tradire. Tutto era capovolto. Persino il re rispettava la legge della contraddizione. Aveva la corona, ma non la portava in testa, ma ai piedi. Si mormorava che il Diavolo in persona amasse questo posto alla follia e che vi venisse una volta all’anno a trascorrere le vacanze. Forse era attratto dalle belle fatine, nutrite solo di miele, e dalle loro grida in risposta agli scherzi del Folletto Birbante. Ma chi era costui? Un folletto invisibile, che amava fare scherzi, sapendo di non essere visto e di essere imprendibile. Un giorno, un contadino, forse un po’ brillo, si perse nel bosco incantato. Il Folletto Birbone, dopo essersi divertito a farlo cadere e a tirargli le orecchie, decise di rivelargli un segreto: “lascia qualche piccolo grappolo d’uva sulle viti, così trattieni più a lungo gli uccelli di passo. Catturarli e infilzali nello spiedo. Vedrai che tutti verranno alla tua tavola e sicuramente conquisterai le donne più belle”. Il giovine tornò a casa il giorno dopo, ne buscò tante dal padre, ma una domenica di novembre mise in pratica i consigli del Folletto Birbante e cosa scoprì? Semplice, lo spiedo portava allegria e soprattutto tanto dolce amore! E’ solo una favola…
…oltre la favola
Lo spiedo nella Marca Trevigiana era una pratica conosciuta in tutte le case dove c’era un caminetto. Per sua natura, la carne allo spiedo non era mai preparata per poche persone. Può essere considerata una usanza che ha anticipato il concetto di famiglia allargata. Lo spiedo, per i tempi lunghi di cottura, per l’attenzione al suo lento girare, all’uniformità della fiamma e alla temperatura delle carni, prevede la presenza colloquiale di più persone. Lo si faceva a fine marzo, quando era facile catturare i pettirossi; in autunno con i tordi, i ciak e i frisein e l’11 novembre per San Martino. Era tradizione una volta all’anno farlo per invitare i figli o i fratelli, che, sposandosi, erano usciti dal nucleo familiare originario. Si riuniva la famiglia. Alcuni approfittavano dello spiedo “della prima neve” fatto con le panigasse. Nell’aia di casa si spazzava dalla neve un piccolo riquadro di terreno. Si gettava una manciata di sorgo e i passeri venivano per cibarsene. Catturarli era un gioca da ragazzi!
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