Cibo e cultura: talvolta sembriamo dimenticare questo binomio che applicato alla realtà del Bel Paese è inscindibile. E da qui voglio partire per affrontare la recente polemica sollevata da “Il Corriere della Sera” sulla correttezza dell’informazione che vede blogger vs giornalisti (gli influencer, a nostro avviso, compongono una categoria a parte). In questo caso i primi sono stati attaccati apertamente di essere incapaci di distinguere tra informazione pubblicitaria e narrazione di un fatto. Sinceramente mi appare una polemica sterile che non aiuta a comprendere il reale fenomeno. Non è forse molto più giusto parlare di crisi di idee?
Premessa
L’informazione è in crisi, i giornali hanno perso autorevolezza, i giornalisti sono sottopagati, le redazioni sono ridotte all’osso, molti articoli non sono altro che la riscrittura di comunicati stampa. Il conflitto d’interesse con la pubblicità è sempre esistito, anzi oggi è diventato drammatico. Non nascondiamoci dietro a un dito: qualsiasi pubblicazione, sia cartacea che web, si basa sulla raccolta pubblicitaria. Il cartaceo ha sempre maggiori difficoltà a raccoglierla, mentre il web stenta a trovare una modalità che assicuri un margine di guadagno che permetta di mantenere delle redazioni con persone adeguatamente retribuite. Nessuno di noi è “un’anima bella” o vuole esserlo: laddove non si è pagati o si è retribuiti a cottimo, il rischio di diventare un “mercenario della penna” cresce. E questo è lo stesso destino che accomuna giornalista e blogger.
Influencer: pagine pubblicitarie viventi?
Di certo, d’altro canto, alcuni influencer (come pure alcuni blogger) sono indifendibili. Sono una pagina bianca, spesso ridicola, su cui i diversi brand scrivono i loro messaggi pubblicitari. Si trasformano in spot viventi di più prodotti, sono privi di personalità, non esprimono alcuna idea se non la triste, quanto inutile, pubblicizzazione di prodotti che rischiano la penalizzazione da parte di utenti che sono sempre più scaltri ed informati. La domanda da farsi è importante: conta il numero dei follower oppure la qualità?
Però attenzione esistono molti blogger che fanno il loro lavoro con serietà, consapevoli che il loro compito non è “influenzare”, ma informare, creare un dibattito, segnalare ciò che si agita in un mondo in continuo divenire. Dunque la qualità fa la differenza, e, certamente, è presente anche tra molti giornalisti che non hanno rinunciato all’etica professionale e credono ancora nella loro mission.
E se il vero tema su cui discutere fosse un altro? Ovvero che cibo e cultura sono un’accoppiata inscindibile e che la vera sfida è la creatività…
Detto questo, mi sembra piuttosto sterile l’annosa polemica che vede contrapporsi blogger, influencer e giornalisti. Il vero problema è la mancanza di coraggio nell’ impegnarsi nella ricerca di strade nuove, nell’ essere voci fuori dal coro, nel volere rincorrere il consenso senza tenere presente che il progresso nasce dal dissenso. Come ovviare a discussioni inutili? Riconosciamo una volta per tutte che viviamo in un sistema capitalista per cui non possiamo fingere che esista una informazione “innocente”. Affermarlo non significa accettare la menzogna, ma essere consapevoli che non esiste “la verità”, ma le verità; significa richiedere a gran voce narrazioni, strumenti per conoscere situazioni su cui formulare giudizi personali opinabili, ma costruiti grazie all’esercizio della nostra intelligenza. Io sono convinta che sia più importante porsi domande che trovare risposte. Mai accontentarsi di una risposta, questa ha valore solo se suscita altre curiosità e se è sempre sottoposta al ragionevole dubbio.
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